L'Isola del dottor Frankenstein

Che succede se Frankenstein e i suoi mostri incontrano un gruppetto di aliene vogliose... ?

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    Quando la follia diviene realtà. Frankenstein Island è la materiale riproduzione (condensata in novanta minuti di deliri mai fini a se stessi) del talento di un regista etichettato troppo velocemente come autore di film di bassa lega (opportunamente ribattezzati z-movie per distinguerli dal cinema d'elite) ossia Jerry Warren. Con questo suo ultimo lavoro decide di dare una ideale collocazione alle gesta conclusive del folle Frankenstein e della sua creatura. Spesso abituati a dare iniziazione ai propri riti tra castelli diroccati e allestimenti scenici gotici (La Maschera di Frankenstein, Dracula contro Frankenstein, Gli Orrori di Frankenstein) oppure, talvolta, a fare i conti con personaggi più scaltri (ne La Maldiciòn di Frankenstein del grande Jesus Franco l'antagonista principale è l'alchimista Conte Cagliostro). Qui il regista immagina il duo su un'isola abbandonata dal mondo, dove quattro amici, in volo su un pallone, vi vengono catalizzati da una spirale di energia profusa dai macchinari - opportunamente segregati nel sottosuolo - del Dottor Frankenstein, del dottor Von Helsing (scritto proprio così) e di sua moglie! Nei loro laboratori si collaudano nuove invenzioni, si implementa la funzionalità di esperimenti in precedenza andati a male, al fine di materializzare l'atavico sogno del nostro: la vita eterna. Il tutto impreziosito da un cast niente male: Cameron Mitchell e Stanley Clarke, i quali dovranno vedersela anche con le avances di un gruppo di aliene.
    A coronare il tutto vi sono le sporadiche apparizioni del grande John Carradine (attore che ha investito metà della sua carriera in film ben peggiori) nei panni del redivivo Dottor Frankenstein. Le sue comparsate vengono centellinate in irruzioni esigue in cui fa capolino mentre recita una serie di rituali e frasi sconnesse che, anche in tale occasione, sono un saggio della sua - encomiabile - manifesta capacità di inquietare con poco. Il punto forte del film è stato saper creare un'atmosfera di perdizione e di isolamento dalla civiltà, mai così invasiva e destabilizzante. La sospensione onirica della vicenda enfatizza il senso di fine del mondo e di solitudine che colpisce i protagonisti. Un profondo clima di annientamento sprigionato da personaggi sopra le righe, folli e macabri, che sembrano aver perso ogni contatto con la realtà e al fine di preservare il loro istinto di sopravvivenza, optano per l'adozione di una loro lingua, dei codici personali, un loro gergo, un comune modo di pensare, un mondo a latere con il quale si impatta bruscamente e non v'è possibilità di empatizzare. Le usanze delle donne aliene, così accomodanti ma dai doppi fini, la sciatteria dei luoghi e delle ambientazioni che assoggettano lo spettatore a fare i conti con l'inesplorato degli antri buii, l'incapacità di raccapezzarsi tra terre dimenticate dall'animo umano in cui vi è solo isteria collettiva e mai spazio per la razionalità, fanno sì che durante la visione si cerchi (invano) di patteggiare con quest'arma a doppio taglio capace di colpire e di non lasciarsi dimenticare.
    Non ultimo, il film è un profluvio di idee e contaminazioni brillantemente riuscite con altri generi (commedia, sci-fi) raro esempio di versatilità, del sapere uscire con maestria dalle finestre dei canoni rientrandovi elegantemente dalla porta.
    Da recuperare.
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