Posts written by SatanaX

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    Arrapahosquallor
    Arrapaho è un film del 1984 diretto da Ciro Ippolito, ispirato all'omonimo LP degli Squallor, pubblicato nel 1983. Gli Squallor partecipano alla sceneggiatura e compaiono nel film come attori. Il titolo del film (e dell'album) è ispirato della tribù indiana degli Arapaho, popolo dedito soprattutto al commercio e alla caccia nomade.
    Il film uscì il 14 agosto 1984, in due cinema in tutta Italia (uno era a Viareggio e Ippolito portò personalmente le pizze del film con tre ore di ritardo).
    TRAMA
    Scella Pezzata, figlia del capo indiano Palla Pesante della tribù dei Cefaloni, è promessa sposa di Cavallo Pazzo, ma è innamorata di Arrapaho, figlio del capo indiano Mazza Nera della tribù degli Arrapaho, il quale è a sua volta oggetto dei desideri di Luna Caprese della tribù Froceyenne.
    Palla Pesante non può seguire le vicende amorose perché è occupato a invocare gli "dei della pioggia", a fare soliloqui con il cavallo Alboreto (un purosangue che giorno dopo giorno si rimpicciolisce fino ad arrivare alle dimensioni di un pony) e a tentare di risolvere il problema delle nascite che nel villaggio sono pari a zero.
    Arrapaho e Scella Pezzata vengono rapiti da Cavallo Pazzo, ma grazie al salvataggio ad opera di Latte Macchiato della tribù dei Froceyenne e di Cornetto Solitario della tribù degli Arrapaho riescono a fuggire insieme. A Cavallo Pazzo non resta che rifugiarsi nelle braccia di Luna Caprese.
    Il film termina con una rappresentazione dell'Aida sulla falsa riga del brano che apre l'album omonimo degli Squallor.
    Daniele Pace, nelle vesti di capo indiano, canta come danza della pioggia La pioggia, scritta da lui stesso insieme a Mario Panzeri e Corrado Conti.
    CURIOSITA'
    Gli Squallor chiesero a Cesare Ragazzi di apparire nella scena del taglio dello scalpo di Cavallo Pazzo. Ragazzi rifiutò, ma la sceneggiatura non fu cambiata e il suo ruolo fu interpretato da una controfigura.
    In una intervista per Stracult Tinì Cansino ha dichiarato che la maggior parte delle battute di Daniele Pace erano improvvisate.
    Nel film sono presenti nove break che non hanno nessun nesso con la storia. Per ammissione del regista, servivano per portare il film, di per sé molto breve, a un metraggio standard:
    1) Spot-parodia (carne in scatola, detergente intimo)
    2) "Tranvel Trophy" (la saga di un impiegato che non riesce mai a prendere il tram in tempo)
    3) Le avventure di Berta (Marta Bifano, figlia dell'attrice Ida Di Benedetto), che descrivono il corteggiamento di una ragazza da parte di uno spasimante (presenti anche in due pezzi su altrettanti dischi degli Squallor, nel secondo lo spasimante si rivelerà chiamarsi Umberto, esponente un partito chiamato Lega...).
    4) "Pierpaolo a Rio", che narra la vita di Pierpaolo, un ragazzo viziato che, grazie a un pressante turpiloquio nei confronti del padre, riesce a garantirsi una sussistenza economica con cui condurre una vita agiatissima e lussuosa.
    Anche i demenziali titoli di coda furono girati allo scopo di recuperare sette minuti mancanti per ottenere una lunghezza accettabile. Vi appare lo stesso regista mentre la base musicale è tratta da una rappresentazione dell'Aida messa in scena all'Arena di Verona.


    Edited by Eilmer - 6/6/2014, 16:34
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    baronaff3
    Tra mostri alieni fintissimi degni di un luna park, tettone esagerate (finte per lo più) e tizi vestiti in un modo che manco venissero fuori da un film post-atomico, indecente, di serie B degli anni 80 XD


    Edited by Eilmer - 9/4/2014, 18:01
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    xemphimso_6-guns
    La nostra adorata Asylum non manca di sperimentare di tanto in tanto generi cinematografici diversi da quelli che gli assicurano entrate economiche quali plagi di film famosi, disaster movies e fantascienza da videonoleggio. In questo caso la Asylum ha provato la strada del western, casualmente nel periodo in cui usciva Jonah Hex, con questo film intitolato 6 Guns, la cui trama è così riassumibile: c'è una famigliola felice stile casa nella prateria, ma disgraziatamente arriva una banda di fuorilegge il cui capo vuole regolare un vecchio conto in sospeso col padre di famiglia, che viene ammazzato insieme ai due figlioletti, mentre la madre viene stuprata da tutti i membri della banda tranne uno, che dovrebbe anche essere quello che la deve ammazzare ma non lo fa. Vediamo poi questa povera donna bighellonare sbronza in una cittadina del west, dove tutti la trattano come un'accattona a parte uno straniero, un cacciatore di taglie appena giunto in paese, al quale la donna chiede di insegnargli a sparare per vendicarsi dei banditi che le hanno rovinato la vita. Dopo varie peripezie, giustizia è fatta e arriva il lieto fine, con lo straniero che se ne va e la donna che comincia una nuova vita da bounty killer.
    Bisogna dire che questo film, pur non brillando per originalità (la donna che nel west prende in mano il fucile e inizia a fare giustizia viene da Roger Corman) o particolari virtuosismi visivi, è comunque ben fatto, e non regala quasi nessun elemento involontariamente comico che di solito troviamo nei film della Asylum; le uniche cose su cui potrei avere qualcosa da ridire sono 1) durante un pranzo all'inizio del film, a tavola usano dei grossissimi barattoli da conserva al posto dei bicchieri, per bere (ma come gli è venuto in mente?), 2) il fatto del membro della banda caritatevole che risparmia la vita alla protagonista ci si aspettava che venisse sviluppato meglio, e 3) alcuni schizzi di sangue, causati da armi da fuoco, realizzati (misteriosamente) in CG. Comunque niente che rovini la fattura del film, che ho trovato pur nei suoi limiti migliore di tanti altri western televisivi in circolazione, come l'orrendissimo La febbre della prateria con Kevin Sorbo e Lance Henriksen.


    Edited by Eilmer - 10/3/2014, 01:59
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    3034ae33d207c45dcb719e7989c952b6
    Forse qualche lettore di questo forum ricorderà che il 30 novembre 1999, alle ore 10 di mattina la Rai (uno) mandò improvvidamente in onda un film hard in piena fascia mattutina, cosa che le cagionò una terribile reprimenda da parte del Moige (il temutissimo movimento italiano genitori, coglioni) con conseguente lavata di capo dell’allora direttore generale agli sprovveduti programmatori.
    Ebbene, pare difficile crederci ma il film era questo. E la cosa più divertente è che non si tratta assolutamente un film erotico, quanto di un trash western di serie Z con non più che un paio di scene molto softcore e qualche topless (notevole, peraltro).
    Risulta difficile anche scriverci sopra un commento, in quanto è un’"opera" talmente brutta, naif e dilettantesca, perfino per abituali frequentatori dei bassifondi del genere come l’estensore di questo articolo, da ispirare addirittura simpatia.
    Anche se infierire sulle magagne del film – che in tv ovviamente non si è più visto, per fortuna – è come sparare sulla croce rossa, onestamente non sappiamo dire cosa sia peggiore, se la trama assurda, che vede un bounty killer chiamato Spirito Santo come l’eroe dei western-barzelletta di Giuliano Carmineo redimersi dopo aver ammazzato per errore un paio di innocenti e cambiare attività rilevando un bordello gestito da un'irriconoscibile Kelly LeBrock (cioè la mitica "signora in rosso", che secondo noi dovrebbe fare causa al suo chirurgo estetico) e da un gruppo di donnine allegre che sembrano uscite dal paginone centrale di Playboy e che improvvisamente si trasformano in delle pistolere ammazzacristiani che neanche Clint Eastwood, o la recitazione degli interpreti che fa sembrare qualsiasi attore del peggior spaghetti-western come proveniente dall’Actor’s Studio.
    Brilla per la sua totale incapacità anche la regia di Jim Wynorsky – un forzato della serie B con oltre 75 film all’attivo, e probabilmente il regista più sbeffeggiato di tutti i tempi sui forum di cinema, su cui è stato girato anche un documentario dall’illuminante titolo Come fare un film in tre giorni – dall’andamento televisivo e con deliranti “omaggi” a Sergio Leone. Anche se sembra incredibile il doppiaggio italiano da soap-opera probabilmente contribuisce addirittura a peggiorare il tutto.
    Le conigliette, se non altro, meritano.
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    ramon_il_messicano_robert_hundar_maurizio_pradeaux_001_jpg_hhuy
    Dove si narra della faida tra la famiglia del cattivissimo Ramon e la famiglia Baxter.
    Che ovviamente non sono quel Ramon e non sono quei Baxter. Ancor più ovviamente l'esordiente e micidiale Pradeaux non è Leone e l'inguardabile caratterista Jean Louis come protagonista non ha il carisma dell'ombra del sigaro di Clint Eastwood. L'unico che reggerebbe il confronto con il modello evocato è il grande Claudio Undari/Robert Hundar, che in quanto a presenza scenica aveva poco da invidiare persino a Volonté. Ma a conti fatti anche il suo Ramon è solo un gran carognone, del tutto privo del fascino luciferino del suo celebre omonimo di "Per un pugno di dollari". (Hundar interpreterà un vero cattivo alla Volonté nel ben più interessante "Un buco in fronte" di Giuseppe Vari.)
    Che comunque Hundar e il suo personaggio fossero l'unica cosa che funzionava nel film dovevano averlo capito anche i produttori, che infatti dedicarono il titolo al cattivo, mettendo il nome di Hundar per primo nei titoli di testa e concedendo al villain molto più tempo di quello solitamente riservato a personaggi di questo tipo. Peccato che il tutto si risolva in una sfilza di luoghi comuni da lasciare basiti. Ovvero ci viene mostrato tutto quello che ci si aspetta faccia un bandolero messicano nel suo tempo libero, quindi ampio spazio a banchetti da crapuloni, gozzoviglie, mezze orge, ballerine con le nacchere.
    Per tutto il film il nostro Ramon è addirittura più svelto del buono. Almeno finché questi non fa un corso accelerato di estrazione della pistola con un'accetta: o diventa più veloce o l’accetta gli taglia la mano. Il che in effetti è un buon incentivo per imparare la lezione fin dal primo tentativo.
    Il film è tanto brutto quanto curioso, perché sembra mettere in scena una faida tra mafiosi siciliani o briganti sardi, con quindi tutto quel bel sottofondo di "valori" che si può immaginare. A cominciare da un distorto senso dell’onore e una totale fiducia nella legge del taglione che accomuna tutti personaggi. In fin dei conti l'unica cosa che ci segnala che i Baxter sono i buoni è il fatto che hanno una serva negra stile Mami di "Via col vento".
    Ad accentuare l'atmosfera da strapaese italiano contribuiscono una colonna sonora vagamente operistica e scene madri da sceneggiata napoletana. Quindi ci si può deliziare con scene come quella della bella che fa un fioretto alla Madonna promettendo che sposerà l’uomo che l’ha violentata (sempre Ramon ovviamente, che però da vero macho latino POI gli fa la serenata sotto la finestra) o come quella del buono che pianta i suoi uomini per andare a giurare sul letto di morte della sua amata mamma che non toccherà più la pistola. Poi però gli avversari gli trucidano pure la mamma e lui ci ripensa. Puro melodramma anche il duello finale, con il protagonista che si presenta al duello risolutore travestito da prete.
    Il tipico film più divertente da raccontare che da vedere, perché in realtà la noia regna sovrana. Il budget inesistente soffoca i rari spunti di buona volontà della regia, gli italianissimi faccioni di gran parte del cast sono un disastro totale e il ridicolo involontario aleggia su tutte le scene che non vedono in campo Hundar. Solo per trashofili convinti.
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    Tre avventurieri i fratelli Kennedy: Link, Tornado e Sally, sono sulle tracce di un bandito che uccise loro padre. Il bandito è conosciuto come uno spietato assassino di nome Il Corvo. Le tracce li condurranno in un paese dove il bandito in combutta con un losco proprietario terriero, finge una rapina per impossessarsi dell'oro della miniera del paese. I tre smaschereranno il complotto, ma non prima che Il Corvo uccida Tornado, uno dei fratelli. Sarà Link a vendicare suo padre e suo fratello uccidendo in duello il bandito.
    Gianni Crea confeziona in modo molto frettoloso questo bruttissimo western, fatto per lo più di materiale di recupero o scartato di film mai realizzati. Fin troppo evidenti gli esterni delle campagne romane spacciate per prateria americana, la storia e il montaggio sono davvero pessime, cosi come anche alcuni costumi (coppolette siciliane e pellicciotti da montanari) e scenografie (carte da parati rosa con fiori o quadrettoni). Il film si allunga in interminabili e incomprensibili dialoghi e scazzottate alla Bud Spencer/Terence Hill del tutto fuori luogo e privi di senso con la trama. Inoltre Gianni Crea condisce la pellicola con un pizzico di humor per nulla incisivo. La pellicola si esalta solo per le poche apparizioni di William Berger (straordinario caratterista d'epoca) peccato che Crea non ha saputo sfruttare a pieno le potenzialità del suo personaggio, se si fosse concentrato di più sull'aura gotica e spettrale che emanava Berger nel ruolo del Corvo, poteva realizzare un piccolo capolavoro. Tra gli attori anche una giovane (e pessima) Fiorella Mannoia, non ancora cantante professionista ma aspirante attrice, qui con lo pseudonimo di Fiorella Manni (meno male che si è fermata a 'sto film). Una leggenda urbana su questa pellicola dice che ne esisteva una versione integrale con ben 6 minuti in più, tagliati al momento dell'uscita perchè troppo violenti. Le scene "incriminate" sarebbero una dove Il Corvo interroga freddamente un suo prigioniero con un candelotto di dinamite accesa in bocca che infine esplode (scena che si vede anche nel manifesto del film, ma che non esiste nella pellicola)
    e_il_terzo_giorno_arriv_il_corvo_lincoln_tate_gianni_crea_006_jpg_uyve
    e una dove viene giustiziato Dean Stratford per mano dei cittadini del paese. In sostanza è un western che vale la pena di vedere soltanto per William Berger e il suo personaggio, per il resto... è noia.

    Edited by Eilmer - 11/3/2014, 11:15
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    Gruppo di reduci sudisti, truci e violenti, danno la caccia a un’indiana (dopo aver massacrato la sua tribù) per soddisfare le fantasie erotiche del loro colonnello. La donna viene aiutata da un ex-sudista. I due, a uno a uno, faranno fuori le truppe del colonnello fino allo scontro finale.
    Tardo spaghetti western datato 1986, di produzione italo - spagnola sulla scia di "Soldato blu", solo che qui i soldati sono sudisti, invece che nordisti (ma perchè???). Alla regia troviamo il grezzo Bruno Mattei, assistito dal sempre fido Claudio Fragasso, loro anche la sceneggiatura scrittà in “comproprietà” con Roberto Di Girolamo e Rossella Drudi (moglie di Fragasso). A differenza della filmografia del regista, si assiste a una pellicola meno fracassona e sconclusionata del solito. Anche la regia appare un pizzico più curata, così come le interpretazioni degli attori (quasi tutti spagnoli e sconosciuti). Funzionano bene anche i due attori protagonisti, il greco Vassili Karis e la spagnola Mapi Galàn, nel ruolo dell'indiana guerriera, stupenda.
    Ed è convincente anche lo squadrone di rinnegati che se ne va in giro a compiere massacri per puro divertimento e a violentare donne indiane, capitanato dal pazzo colonnello interpretato da Alberto Farnese, seppur poco credibili sotto il profilo politico - militaresco: i soldati bianchi paiono tutti una massa di pervertiti, più che alla guerra e le rivendicazioni cui dicono più volte di aspirare sembrano avere in testa una sola cosa...
    Lo script non offre un intreccio elaborato, però ha il merito di inserire vari tasselli che aggiungono un background alla vicenda (legame familiare tra il colonnello e il sudista ribelle; rapporto tra la moglie del colonnello e quest’ultimo). Si cerca anche di caratterizzare i vari personaggi (evoluzione della relazione tra l’indiana e il suo salvatore: prima basata sull’odio, poi via via sulla comprensione e infine sul sentimento) e questo, per un film di Mattei, fa notizia. Pochi i vuoti narrativi (dove vanno a finire gli indiani che i due fuggiaschi trovano su un promontorio?; come fa, a fine film, l’indiana ad apparire d’improvviso in cima al fortino?) e le scene inverosimili (la più evidente è costituita da una scena in cui l’indiana scocca una freccia con ivi legato un candelotto di dinamite!?). Come in ogni opera di Mattei, non mancano le citazioni/copie a film più noti. Tra gli “omaggi” più evidenti si segnalano tributi a “Rambo 2” (compresa la scena del cattivo di turno che, dopo aver scaricato un fucile, spara con la pistola fino a esser attinto dalla freccia esplosiva dell'indiana) e “Per qualche dollaro in più” (duello finale, con il terzo che osserva i due contendenti quasi come se fosse un giudice di gara). Per gli amanti delle scene forti, Mattei propone sequenze gore molto ben curate (il protagonista che viene trascinato per il deserto con degli "artigli" metallici conficcati nel petto (scena ripresa da "un uomo chiamato cavallo", nella parte inerente la danza del sole, tanto amata da Mattei) e su cui la mdp indugia di continuo, stupri, scotennamenti eseguiti anche con coltelli da cucina, teste mozzate, pestaggi vari e scalpati che si rianimano in stile zombi). Scenografie povere (un fortino (usato in vari famosissimi film), una casa di campagna (lo Sweetwater Ranch costruito dallo scenografo Carlo Simi per il film "C'era una volta il West" e tuttora esistente e divenuto un'attrazione turistica sotto il nome di Rancho Leone) e tanto deserto d'Almeria). Fotografia del duo Julio Brugos-Luigi Ciccarese non eccellente, ma neppure pessima. Adeguatissima, invece, la colonna sonora di Luigi Ceccarelli. Presenza di qualche bel topless. In definitiva, “Scalps” è, sen non il migliore, il film di genere più riuscito dell’accoppiata Mattei-Fragasso.




    Edited by Eilmer - 5/4/2014, 23:04
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    Un gruppo di mormoni viene aggredito da una banda di assassini, al massacro sopravvive solo una donna incinta, anche grazie all'intervento di un gruppo di Apache. La donna viene condotta al loro villaggio ma muore dopo aver dato alla luce il figlio (nonostante fosse stata brutalmente presa a calci in piena pancia). Il bambino viene così cresciuto dal capo indiano Orso Grigio. Divenuto adulto è conosciuto come Cielo Splendente (lo so, pare più un complimento per femminuccie che un nome indiano da uomo!), s'innamora di una giovane squaw di nome Stella Nascente, ma durante una lite uccide accidentalmente il suo fratellastro Lupo Nero (l'originalità di questi nomi indiani mi stupisce sempre di più XD). Così Cielo Splendente è costretto a lasciare il villaggio e la donna che ama per conoscere il "crudele" mondo dei bianchi. Ma quando questi minacciano la sua gente, Cielo Splendente torna al suo villaggio per combattere e proteggere il suo popolo.
    Film “gemello” girato back-to-back con Scalps, con gli stessi attori, nelle stesse locations e probabilmente con i pochi soldi rimasti.
    Ma se in quello l’estrema povertà del budget veniva in qualche modo ovviata da una buona tenuta della storia, un efficace climax drammatico e una cattiveria delle situazioni che facevano funzionare il film nonostante tutto, qui la pur indiscutibile professionalità artigianale di Mattei – dalla costruzione delle scene e dalla scelta delle inquadrature si vede che il regista non è un dilettante – non riesce a evitare il disastro.
    Soprattutto la prima parte ambientata nel campo indiano, con i costumi e gli utensili dei pellerossa realizzati a mano dallo stesso regista (come nel suo gemello Scalps), è purtroppo davvero ridicola, ma anche in seguito il film non riesce mai a funzionare, con scene (s)legate tra di loro in barba a ogni plausibilità narrativa, flashback del tutto deliranti, inserti in stile spiritualità new-age e inquadrature di animali che si vede lontano un chilometro sono prese da qualche documentario (Mattei era uno specialista nell’utilizzare materiali di repertorio e un mago del montaggio nell’inserirli quasi subliminalmente in altre opere).
    Solo il finale, tirato, sadico e brutale, a suo modo funziona.
    Anche la tanto decantata violenza e l'erotismo per cui il film è famoso sono comunque parecchio attenuati rispetto a Scalps, salvo l’inizio, piuttosto forte, il finale (appunto), il caratterista Carlos Bravo che si prende un tomahawk in piena faccia (che poi coprirà con una sorta di maschera di cuoio) e qualche sporadico nudo.
    L’attrice che fa l’indiana, Lola Forner, è molto carina e indubbiamente anche il biondo e atletico Sebastian Harrison (figlio di Richard, interprete di molti spaghetti western) avrà un certo appeal presso il pubblico femminile, ma più che in un western sarebbero stati piu adatti in una telenovela.
    Alla fine si tratta del solito film girato per cavalcare la scia (residua) del successo di pellicole alla "soldato blu", mischiando il tutto con un pizzico di "Navajo Joe" Corbucciano (magari per fare più italico), con gli uomini bianchi che sono tutti (manco a dirlo) sadici, razzisti e maniaci sessuali, e le donne bianche quasi tutte ninfomani. In conclusione un western di poco conto, se si vuole parlare di spaghetti western, ma un vero capolavoro se si vuole parlare di trash movie.


    Edited by Eilmer - 16/6/2014, 11:36
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    bruciatelo-vivo-img-101448
    Lotta fratricida tra un fratello buono contro un fratello cattivissimo, padrone di una città e foraggiatore dei cacciatori di scalpi che massacrano gli indiani dei dintorni. Saranno questi ultimi a risolvere la situazione in modo definitivo.
    Regista e produttori sono americani, ma l'aria scalcagnata è da sottoprodotto italiano. Terribili in particolare le sequenze d'azione e di massa riprese palesemente da altri film, e i costumi da carnevale del quartierino, con quegli indiani finti la cui presenza era nove volte su dieci garanzia di serie Z per i western europei. Infatti. C'è parecchia violenza, anche se ogni volta che si vede scalpare qualcuno (il che capita spesso) la regia deve staccare, non avendo evidentemente i mezzi per un mostrare un qualsiasi effetto sanguinolento. Non si salva quasi nulla, dalla regia inerte alla trama cervellotica, stupida e noiosa. Il film è curiosamente incentrato sull'orgoglio messicano. Savalas è un messicano (sic!) che ha tradito la sua "razza" americanizzandosi il cognome e sposando una "gringa", mentre il fratello buono è un hombre molto macho (e un bel po' scemo), orgoglioso delle sue origini e del suo ciuffo latino (“Al diavolo i gringos!” dice al fratello). Se aggiungiamo l'abbondanza di toni melodrammatici, soprattutto nei patetici flashback, vien da pensare ad un film maldestramente indirizzato al mercato latino.
    Unico elemento degno di interessante è la presenza di Telly Savalas. Come Klaus Kinski era uno di quegli attori dalla presenza magnetica che riuscivano a non sfigurare anche nei contesti più miserabili e raffazzonati. E infatti la scena della sua morte, con lui serafico che aspetta nel suo ufficio di essere massacrato dagli indiani, è l'unico cosa da ricordare di un film per il resto tranquillamente dimenticabile.

    Conosciuto anche con i titoli "Al infierno gringo" e "Land Raiders "

    Edited by Eilmer - 16/6/2014, 11:30
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    Un film così brutto da fare tenerezza. Talmente misero e privo di mezzi da meritare rispetto solo per il fatto di esistere. Come certi film di Ed Wood, è un tale genuino delirio di incapacità e di spunti interessati mal utilizzati da essere al di là del bene e del male. Un deserto, una diligenza, una decina di cavalli, una ventina di attori (contando anche le comparse non recitanti) e una cittadella: il film è tutto qui. Ci sono scene in cui gli attori si impappinano, starnutiscono e improvvisano le battute visibilmente per allungare il brodo. La terribile copia che ogni tanto passa su qualche tv locale nostrana accentua ancora di più l'aria da cinema alla fine del mondo, con un doppiaggio da film porno e un formato indecente.
    Per liberare il loro capo scortato da uno sceriffo una banda assalta una diligenza massacrando tutti i passeggeri, tranne una bella maestrina. Siamo in un film di serie Z del 1970 e quindi immancabilmente la poveretta viene seviziata e violentata. La scena è osservata da lontano dall'impassibile Chatto, apache solitario un po' voyeur. Fatti i loro comodi i cattivoni abbandonano la vittima al suo destino e si dividono, non prima di aver parlato del più e del meno, giusto per far passare altri preziosi minuti di film. Al che Chatto, finalmente, si decide ad intervenire, ed evidentemente attratto dall'avvenenza della donna (apache sì, ma mica scemo) si prende cura di lei. Il resto è puro cinema "s-cult". Nel giro di due scene la maestrina pare dimenticarsi del trauma dello stupro e inizia un credibilissimo idillio sentimentale con l'apache. In men che non si dica li vediamo mano nella mano passeggiare felici e sorridenti nel deserto. Da antologia del trash la scena dell'addestramento lampo, in cui la maestrina si trasforma in men che non si dica in guerriera apache, il tutto commentato da un'allucinante canzoncina flower power che non c'entra nulla (magari voleva essere qualcosa tipo la scena di "Butch Cassidy" con "Raindrops Keep Fallin' On My Head"... nel caso, non è venuta esattamente la stessa cosa). Il delirio continua con la donna che, con l’aiuto del partner indiano, trova e uccide i suoi aguzzini. I cattivi vengono scovati uno per uno, non si capisce come, e trucidati. Uno viene disintegrato da un'esplosione, un altro è seccato con la doppietta mentre è al cesso, un altro viene sorpreso mentre è a letto con una prostituta (occasione buona per mostrare un altro paio di tette dopo quelle della protagonista all'inizio), un altro ancora lo ammazzano mentre... sta per essere impiccato! Ma il clou arriva con il capobanda, che viene rapito e poi castrato dall'ex (molto ex) maestrina. Improvvisamente però scoppia il dramma: prima di schiattare il cattivaccio deride e dileggia la donna che, sconvolta da tanta maleducazione, impazzisce. A quel punto entrano in scena gli uomini dello sceriffo, che erano alla ricerca della maestrina fin dall'inizio del film. Questi ultimi sono degli imbecilli mai visti in un western, che per tutto il tempo non hanno fatto altro che andare avanti e indietro nel deserto senza capirci mai un tubo, con scene degne di "Una pallottola spuntata", tipo quella in cui "per sbaglio" si prendono a pistolettate con la posse di un altro sceriffo. Imbecilli fino alla fine, arrivano, non capiscano nulla della situazione e freddano il povero Chatto. Il poveretto rantolando si trascina verso l'amata, ormai resa indifferente dalla follia. Tocco di raffinatezza conclusivo un finale aperto: nell'ultima inquadratura si vedono degli apache che si avvicinano furtivi agli uomini dello sceriffo.
    Nonostante tutto, degno di nota il cast. Il cattivo e lo sceriffo sono rispettivamente i caratteristi Keenan Wynn e John Anderson, classiche facce senza nome viste in mille film e mille telefilm. Chatto è Henry Silva, che nonostante un assurdo parruccone che gli allunga di venti centimetri la testa riesce incredibilmente a dare un pizzico di credibilità al suo personaggio. Notevole la presenza fisica di Michele Carey: A livello recitativo limitiamoci a dire che è un tantino meno efficace. Comunque pochi anni prima la si era vista niente meno che al fianco di John Wayne e Robert Mitchum in "Eldorado" di Hawks.
    Un film talmente brutto che non stupirei avesse legioni di seguaci tra gli amanti del trash. Girato visibilmente con quattro lire (si gira in tondo per tutto il film per lo stesso angolo di deserto e l’unica scena diversa, quella con la mandria, si nota benissimo che è presa da un’altra pellicola) e diretto in maniera semi-amatoriale e all'insegna del facile sensazionalismo da un regista al suo primo e ultimo film, raggiunge davvero vette di ineguagliabile delirio (una per tutte, gli sceriffi che si sparano tra di loro). Henry Silva ce la mette anche tutta, poveraccio, ma certo che un ruolo che prevede per un’ora e mezza non più di tre mugugni avrebbe messo a dura prova anche il più quotato attore uscito dall’Actor’s Studio. Il doppiaggio italiano, poi, è semplicemente penoso, con pure il sonoro che va e viene, e nutro forti sospetti che la copia passata in tv fosse tagliata, almeno nella scena dello stupro. In America il film, infatti, è considerato un piccolo classico del Rape & Revenge movie (filone in voga negli anni settanta a base di -come dice il nome- stupri e conseguenti sanguinosissime vendette) e all'uscita italiana venne proibito ai minori di 18 anni, ma a vederlo mi è sembrato invece davvero una cosetta molto all'acqua di rose. Niente male l’attrice protagonista, comunque.







    L'unica versione che si trova è questa, doppiata in lingua spagnola, ma tanto...
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    Uno di quei cartoni distribuiti in videocassetta dalla Stardust, ed ora praticamente introvabile! Un cult del cartoon-brutto, incredibilmente ricco di un inspiegabile fascino!
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    “David Copperfield”, come quasi tutti sapranno, è il titolo di uno dei più famosi romanzi di Charles Dickens, dal quale sono stati tratti diversi film e serie televisive. Nel 1993, durante la stagione natalizia, arrivò sugli schermi della NBC questo “David Copperfield”, una produzione franco-canadese basata sul suddetto libro, interamente “interpretata” da animali antropomorfi. Ho un rapporto controverso con questo lungometraggio: da bambino possedevo la videocassetta italiana, e, sebbene non possa dire di averlo mai amato davvero, l'ho comunque visto e rivisto quel tanto che basta per non dimenticarlo più. Recentemente ho avuto la possibilità di riguardarlo in lingua inglese, e, incredibilmente, sono riuscito ad apprezzarlo più adesso che allora. Ciononostante non ho potuto fare a meno di notare tutti quei difetti (evidentissimi anche quand'ero piccolo) che non aiutano certo a rendere la visione del tutto piacevole.
    Premetto che del romanzo di Dickens questo cartone mantiene solo i personaggi e qualche evento importante, dunque non stupitevi se notate delle incongruenze con l'originale.

    È molto difficile per me esprimere un giudizio su questo cartone. Non posso certamente dire che sia un bel film, eppure ha su di me una sorta di inspiegabile attrazione: probabilmente è colpa del suo valore nostalgico, o forse la causa è semplicemente da attribuire al doppiaggio originale, meravigliosamente british!
    Andiamo con ordine: il problema principale di “David Copperfield” è la pressoché totale assenza di ritmo. I primi venti minuti sono buonissimi: i dialoghi funzionano, i personaggi in buona parte divertono e, anche se non succede un granché, non ci si annoia. Il brutto viene subito dopo, ovvero non appena la vicenda si sposta all’interno della fabbrica. Paradossalmente, gli sbadigli cominciano a fioccare proprio quando il film dovrebbe entrare nel vivo.
    Il fatto è che né David, né Mealy, né Agnes (i tre protagonisti assoluti) suscitano interesse nello spettatore: sono estremamente piatti, così come piatti sono i loro rapporti. Mealy e David diventano amicissimi nel giro di un minuto, Agnes confida a David di amarlo già al loro secondo incontro. Non ci sono quei contrasti che renderebbero interessanti o per lo meno credibili le relazioni tra questi personaggi.
    Ci si annoia velocemente: il tasso di verbosità è allarmante (ci sono tantissimi dialoghi, che il più delle volta non portano a nulla), l’azione è poca e mal fatta, i brevi momenti slapstick non fanno ridere.
    La vera forza del film è da ricercare in alcuni personaggi secondari, mille volte più divertenti dei principali.
    Mr. Micawber è simpatico, sempre gioioso e sorridente, e riesce inaspettatamente a non essere mai irritante.
    Mr. Murdstone è un cattivo perennemente in bilico tra la scelleratezza più spietata e la caricatura buffa: a tratti un antagonista serio e seriamente odioso (rapisce orfani dalla strada e li massacra di lavoro, di fatto uccide Clara Copperfield per appropriarsi del suo denaro, sottomette Mr. Micawber minacciando di schiavizzare i suoi figli, tenta di uccidere David e Agnes affogandoli… Wow!), a tratti un cattivone da fumetto, esagerato che ride sguaiatamente e maltratta il suo sciocco scagnozzo Grimby. Qualsiasi scena in cui compaiano Murdstone e Grimby è uno spasso, che sia una sequenza di dialogo o una d'azione.
    Clara Copperfield è dolcissima, e mi è dispiaciuto che sia stata considerata solo per pochi minuti.
    Zia Betsey compare poco, ma quando c’è lei l'intrattenimento non manca.
    Un altro difetto del film è la carenza dell’aspetto “dark”. Le premesse erano perfette per dare una sfumatura tetra alla vicenda: bambini rapiti e schiavizzati, madri che muoiono, persone trasformate in mostriciattoli… Invece non si riesce a percepire alcun tipo di disagio: i colori usati dagli animatori sono troppo vividi, troppo accesi; gli orfanelli vanno tutti d’amore e d’accordo, e quel poco di cinismo che ci aspetteremmo di vedere tra di loro è solamente accennato; l’intera storia degli “ammuffiti” è ridicola e inconcludente, di sicuro non inquietante. I momenti drammatici ci sono (uno su tutti la morte di Clara Copperfield), ma il contesto infantile e sbrigativo in cui sono inseriti ne limitano pesantemente la carica emotiva.
    Ad onor del vero, c'è una brevissima inquadratura che mi è rimasta impressa per il suo essere disturbante: si tratta della ripresa in primissimo piano di un gatto con in bocca un topo morto. Il roditore privo di vita è disegnato in maniera molto meno cartonesca rispetto al resto, e l’effetto che se ne ricava è particolarmente sgradevole.

    Oltretutto, tale scena è stata inserita durante una canzone piuttosto allegra e in pieno giorno, ma allora perchè metterla?
    La sceneggiatura è debolissima: non soltanto gli spiegoni (ovvero il mezzo più banale e irrealistico per fare il punto della situazione) sono all’ordine del giorno, ma spesso e volentieri si ha l’impressione che certi inserimenti nello script siano ridondanti, oppure totalmente inutili. Il film dura 90 minuti, e più di un quarto d'ora è costituito da riempitivi superflui.
    L’animazione è altalenante: in parte modesta ma dignitosa, in parte approssimativa e sommaria. Il design dei personaggi, invece, pur non brillando per inventiva (diciamo anche abbastanza riciclato da stilemi classici e stra-abusati), non è affatto male, soprattutto per quanto riguarda David, un classico giovane eroe con tutte le carte in regola, e Mr. Grimby, un perfetto disgustoso tirapiedi.
    La qualità della colonna sonora è variabile. Si passa dalla decenza alla composizione-rapida-con-tastierina-Bontempi, mentre le canzoni meritano una menzione particolare.
    Si inizia con “I hate boys”, cantata dalla zia Betsey: allegra e orecchiabilissima, mi è rimasta in testa per settimane; non è male in Italiano, ma rende di più in Inglese.
    Proseguiamo con “I’ll be your hero”, cantata da David: smielata e romantica, e il fatto che David la dedichi a sua madre rende il tutto un po’ ambiguo, ma innocua e validamente pop, sia in Italiano sia in Inglese.
    Poi c’è “Welcome to my warehouse”, cantata da Murdstone: tutti sanno che, in un musical, la canzone del cattivo è sempre la migliore, e questa non fa eccezione; la base d’organo è cupissima, il giro di accordi è funzionale, e la cantata-parlata di Michael York è perfetta; pessima la versione italiana.
    Poi abbiamo “Is there anyone?”, cantata di nuovo da David, e, nel reprise, anche da Agnes: è praticamente il tema portante, una classica canzone pop malinconica e romantica; in Italiano o in Inglese il concetto rimane invariato; Julian Lennon e Sheena Easton, comunque, hanno delle belle voci.
    Si passa a “Something’s gonna turn up”, parlata da Micawber sotto una base cantata da Julian Lennon: è una canzone atipica, un po’ spoken word, un po’ pop, giocata su un riff ripetitivo ma non fastidioso; in Italiano è stata resa bene.
    Poi c’è “Street smart” (quella in cui compare il gatto con il topo morto in bocca), cantata da Mealy: orecchiabile e banale, finisce in fretta e si dimentica presto; meglio in Inglese.
    Verso la fine, dopo che i cattivi sono stati arrestati, gli orfanelli felici cantano “Everyone’s a big cheese here”: è un siparietto musicale che dura pochi secondi, completamente inutile.
    Il tema che accompagna i titoli di coda è “Family Christmas”, cantata da Julian Lennon, Sheena Easton, Joseph Marcell e Andrea Martin: ordinaria e di facile ascolto, ma assolutamente piacevole; non è stata doppiata in Italiano.
    Il cast doppiante della versione originale è composto quasi interamente da attori britannici (Julian Lennon, Sheena Easton, Michael York, Howie Mandel, Joseph Marcell, Kelly LeBrock, Andrea Martin, Kathleen Fee, Terrene Scammell e Walter Massey): scelta azzeccatissima... Ma chi mi spiega dove hanno trovato i soldi per radunare così tanti nomi noti? La versione italiana non è malaccio: anzi, a volte i nostri doppiatori funzionano persino meglio di quelli originali. Sheena Easton canta bene ma come Agnes non è molto convincente, e la stessa cosa vale per Julian Lennon, anche se in misure differenti. Decisamente inadatto Howie Mandel per Mealy, diavolo, si sente benissimo che non è la voce di un ragazzino ma di un adulto. Murdstone è doppiato da Michael York, che ha una delle voci più belle che si siano mai udite sulla Terra: elegante, profonda, over-the-top e diabolicamente teatrale. Brutta, invece, la voce italiana, che non mantiene minimamente lo charme dell'originale. Il resto del cast se la cava bene, sia in Inglese sia in Italiano.
    Bene, direi di aver "massacrato" abbastanza questo “David Copperfield”. Ma è proprio tutto da buttare? No, non esattamente. Ha un fascino tutto suo, una bellezza nostalgica che, se si riesce a cogliere, fa salire alle stelle il grado di godibilità. C'è da dire che l'averlo visto in tenera età mi ha aiutato non poco a gradirlo. Forse è più un film da rivedere che da vedere. È comunque una simpatica curiosità per i cultori del brutto e per i ricercatori di cartoni misconosciuti.

    Edited by Eilmer - 4/4/2014, 12:46
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    Benvenuto! Da quando Yotobi ha smesso di fare rece abbiamo bisogno di nuovi talente per portare avanti questà nobile arte (quella di intrattenere qualche persona annoiata che vuol farsai 4 risate XD)
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    Recensioni tramite facebook o twitter??? Bleah, disgustoso, una palla poi... dov'è il divertimento se devo leggerlo?!
    La questione non è che Yotobi non ne può più di film squallidi, ma che si è rimbambito, niente di più, niente di meno! Seriamente, credete davvero che mostarda sia divertente?
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    CITAZIONE (LeilaRecommander @ 22/2/2014, 20:07) 
    Poi ne ho in mente altri due che però non sono horror:
    1. Il vendicatore tossico
    2. Il bosco 1

    Ti sbagli di grosso, sono entrambe classificati come horror! In oltre è inutile chiedere recensioni, oramai Yotobi sembra che non ne farà più, e mostarda è inadatto per parlare come si deve di film trash, squallidi o di serie B.
    Ma non è detta l'ultima parola, forse se Yotobi riceverà, un giorno, una fortissima botta in testa, potrebbe anche rinsavire e ripartire in quarta con le recensioni VERE!!!
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    Mmmmm... Non so fino a che punto siano tanto attendibili quei ducomentari! certo in molti casi per delle civiltà praticamente primitive la sola vista della tecnologia è un autentico prodigio e quasi un segno divino (tipo poter volare come gli uccelli).
    Ma ci sono addirittura altre comunità che guardano alla nostra tecnologia come un qualcosa di superfluo, per non dire inutile, come fossero giusto orpelli per abbellirsi, tentè che non ne rimangono neppure tanto stupiti, senza neppure farci caso. questo probabilmente perchè, in parte a ragione, con lo stile di vita brado che conducono, molte cose che abbiamo noi non gli servirebbero a niente.
150 replies since 6/2/2014
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